Giuseppe Castagna, designato a guidare il terzo gruppo bancario italiano, illustra quali saranno le strategie e le sfide da affrontare
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Sgombrato il campo da (quasi) tutti gli ostacoli Banco e Bpm si preparano al matrimonio d’autunno. Ma un po’ per prudenza e, non dimenticando le sue origini napoletane, anche per un pizzico di scaramanzia, Giuseppe Castagna si sentirà sicuro di essere stato l’artefice, insieme con il numero uno del Banco Pier Francesco Saviotti con cui esiste un rapporto di stima e amicizia dai tempi della Comit, della nascita del Banco Bpm di cui sarà la guida operativa, soltanto entro fine anno. Quando, come detto, le assemblee dei soci dei due istituti approveranno la trasformazione in spa e l’integrazione. Anche se, confessa «dopo il primo via libera della Bce ho capito che eravamo sulla strada giusta». Un processo, quello del nuovo Banco Bpm, lunghissimo per l’iper regolamentazione delle Authority, cominciato a marzo e destinato a chiudersi (a giugno sono partiti i cantieri per delineare i percorsi tecnici dell’integrazione) a dicembre mentre «basta un giorno a Microsoft per acquistare Linkedin». Ma che in un momento difficile per i mercati e il sistema bancario si caratterizza come un “modello campione” da seguire anche nel mondo delle popolari.
Che realtà sarà quella del Banco Bpm?
«La terza banca italiana» risponde l’attuale ad della “Milano” «fondamentale non solo per il sistema bancario italiano ma anche per il Paese. La crisi ha dimostrato come per le banche piccole e regionali sia diventato più complicato di prima poter crescere ed espandersi. . Da due banche regionali nascerà una grande banca nazionale che in questi territori avrà una quota di mercato del 10,5% molto vicina all’11,5 di Unicredit e al 12,5% di Intesa Sanpaolo».
Che vantaggi darà la fusione?
«La somma di Bpm e Banco produrrà molta più redditività. Penso in particolare alle sinergie, un carburante importante per centrare i target del piano al 2019 in un contesto che anche nei prossimi anni vedrà tassi di interesse bassissimi se non addirittura negativi. La somma delle due banche permetterà di creare un importante terzo polo bancario alternativo alle due principali banche del Paese. E, come prevede il piano industriale preparato per la fusione, questa somma produrrà molta più redditività rispetto a quella che avrebbero potuto generare Banco e Bpm restando da sole».
Avranno da guadagnare anche gli azionisti che in questi mesi hanno visto il tonfo dei titoli?
«La flessione dei corsi azionari delle banche è sotto gli occhi di tutti. Ma se si guardano i numeri si scopre che, da inizio anno, quella di Bpm comunque è stata inferiore alla media dei suoi principali competitor ed in più oggi abbiamo un piano industriale credibile e competitivo che può dare soddisfazioni ai nostri azionisti. Per Banco invece ha influito l’aumento di capitale».
Per la fusione sono già stati definiti i valori con il 54% del capitale al Banco e il 46% a Bpm.
«La determinazione dei valori era un atto dovuto per presentare la proposta di integrazione. Per stabilire il concambio effettivo abbiamo dovuto attendere l’esito dell’aumento di capitale del Banco Popolare. E alla luce del risultato e del numero di azioni sul mercato post aumento è stato fissato in un’azione della nuova holding del gruppo per ogni titolo del Banco e sempre in un’azione della nuova holding per 6,386 azioni Bpm, in circolazione al momento dell’efficacia della fusione».
Quindi sarà una fusione alla pari non come altre ipotesi di cui si era sentito parlare?
«Noi sapevamo di essere piccoli e perseguivamo l’integrazione con una banca più grande. Ma abbiamo sempre salvaguardato la pari dignità. Con il Banco l’abbiamo ottenuta. Aggiungo anche che due anni fa in Borsa valevamo molto meno dei nostri maggiori competitor e oggi siamo quasi allineati, se non superiori. Questo percorso ci doveva essere riconosciuto».
Il Banco Bpm non perderà il suo radicamento territoriale di popolare?
«Il radicamento significa la vicinanza ai clienti e non quello di una governance condizionata da interessi locali. Che, come si è visto, e non solo nel mondo delle popolari, hanno prodotto più di un problema».
Problemi ve li hanno creati anche i sindacati, da sempre il socio forte di Bpm?
«Quando si cambia, sono normali le resistenze, soprattutto in fase iniziale. Nel mese di luglio, le segreterie sindacali nazionali hanno espresso pubblicamente il loro apprezzamento al progetto di fusione. Del resto il piano industriale, che prevede la chiusura di 340 filiali per le sovrapposizioni che si creeranno tra gli sportelli delle due banche in aree sovrapposte a distanza di meno di 500 metri, limita a 2600 su un totale di 25 mila le persone considerate in più: 1800 avranno una possibilità di uscita con pensionamenti volontari mentre le altre 800 saranno formate per essere ricollocate in altre aree di business, compresa la nuova business unit chiamata a dedicarsi al recupero degli Npl, i Non perfoming loans».
Lei quindi scommette sul Banco Bpm?
«Nello scorso mese di maggio ho investito in titoli Bpm, e altrettanto ha fatto Saviotti nell’aumento di capitale del Banco. Ma la faccia la metto soprattutto andando costantemente dagli investitori a spiegare come questa rappresenti una grande opportunità».
Il matrimonio dell’anno tra Bpm e Banco avviene in un 2016 pesante per il sistema creditizio italiano. Ma le nostre banche sono davvero messe così male?
«Sono convinto che, in un modo o nell’altro, sapremo uscire da questa crisi che ha il suo epicentro nel problema delle sofferenze. Le banche italiane non erano preparate ad affrontare un tale ammontare di Npl con le vecchie strutture di recupero essenzialmente composte da legali abituati al recupero civilistico. Oggi il sistema si sta attrezzando per affrontare in modo nuovo questo problema e le misure prese dal governo, e le altre che dovrebbero arrivare, dovrebbero favorire e accelerare il ridimensionamento delle sofferenze favorendo anche le procedure extragiudiziali per accorciare i lunghissimi tempi della giustizia nel far valere le garanzie reali dietro ai crediti incagliati, pensi solo ai beni immobiliari».
Le autorità di vigilanza, a cominciare dalla Bce, dovrebbero però essere un po’ meno rigidi…
«L’irrigidimento della Ue ha impedito, mi riferisco alle quattro banche salvate per decreto e alle conseguenze che questo intervento ha prodotto sul sistema, sui risparmiatori e sul mercato, di fare salvataggi vecchio stile.
E si è stati costretti ad attuare interventi più costosi e che hanno dato ai mercati l’idea che le banche italiane erano a rischio.
Per questo è importante che il tema delle sofferenze non venga affrontato con la fretta che imporrebbe alle banche di svendere gli Npl svalutati al 17,5% secondo quanto oggi è disposto a pagare il mercato, ma con calma e con un po’ di tempo a disposizione, si attuino, sia all’interno delle banche sia con le nuove normative, tutti gli interventi necessari per aggredire il problema ricreando un clima di fiducia attorno al sistema bancario, fondamentale perché possa tornare a crescere»
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