Sviluppo sostenibile e legalità per rilanciare il business

Combattere l’evasione, abbattere il cuneo fiscale e rafforzare il ruolo sociale dell’impresa. è questa la strada da seguire per promuovere la crescita in Italia. Ne è convinto Pasquale Natuzzi, l’imprenditore dei divani. Che sulle strategie seguite dice..
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Combattere l’evasione fiscale e, anche grazie a questo, ridurre il cuneo fiscale in modo da consentire ai lavoratori di mettere più denaro in tasca e agli imprenditori di risparmiare sull’esborso complessivo. Pasquale Natuzzi, imprenditore italiano che ha messo in piedi un gruppo affermato in tutto il mondo sul fronte dell’arredo, indica la sua ricetta per aiutare l’Italia ad accelerare nel processo di crescita. Invitando tutti a guardare con maggiore fiducia al futuro, investendo su un paese che può vantare enormi ricchezze culturali e artistiche che meritano di essere valorizzate meglio.

Convinzioni frutto della lunga esperienza fatta sul campo, dal primo laboratorio artigianale degli anni Cinquanta fino alla quotazione del gruppo a Wall Street, passando per l’espansione internazionale e gli alti e i bassi della domanda. Un lavoro che gli è valso una laurea honoris causa in Scienze dell’educazione all’Università di Bari e la menzione nell’American furniture hall of fame per il contributo alla crescita e allo sviluppo dell’industria dell’arredamento negli Stati Uniti.
Il 2016 è andato in cantiere come un altro anno contraddistinto da una crescita lenta. Cosa possiamo attenderci per il 2017?
L’Italia sta faticosamente uscendo fuori da un periodo difficle che ha messo a dura prova le imprese. Per il 2017 dovremmo parlare di una crescita che difficilmente arriverà all’1%, in uno scenario internazionale che presenta molte insidie e con un paese ancora alle prese con una serie di emergenze: dalla gestione dei profughi a quella dei terremoti. Tuttavia, anche se l’Italia non avesse queste criticità, non credo che sarebbe pronta a svoltare verso la ripresa. Anzi, mi chiedo se dopo dieci anni, si possa continuare a interpretare la realtà parlando di crisi e ripresa. Forse dovremmo prendere atto che il mondo è cambiato e che anche gli strumenti di politica economica e sociale devono necessariamente adeguarsi al cambiamento.
In che modo?
Faccio un esempio: i dati confermano che siamo il secondo paese industriale in Europa e il settimo nel mondo. Partendo da questi dati emerge che abbiamo potenzialità enormi. Il brand Italia mantiene ancora una grande capacità di attrazione e cresce la domanda di made in Italy in tutti i mercati. In questa nuova fase della globalizzazione l’Italia può giocare bene le sue carte, in particolare nelle produzioni più specializzate. Ma occorre realizzare una politica economica che punti a costruire un paese moderno e competitivo, proprio a partire dalla manifattura di qualità e dall’industria. Sono convinto che se puntiamo sui nuovi driver della crescita (sostenibilità ambientale, green economy, digitalizzazione, industria 4.0) noi avremo un nuovo Rinascimento.
Quali sono i freni maggiori a una crescita più sostenuta?
Fra i fattori di freno strutturali c’è l’evasione fiscale, che innesca il circolo vizioso dell’eccessiva e ormai insostenibile pressione fiscale per le aziende oneste e dello sviluppo di una vera e propria economia parallela, sempre più florida, fondata sul sommerso. Queste due economie viaggiano, com’è facile intuire, a due velocità molto diverse. Chi rispetta le regole arranca e si dibatte fra mille difficoltà, è costretto a ricorrere agli ammortizzatori sociali e a sottrarre suo malgrado le risorse pubbliche allo sviluppo; chi opera nell’illegalità invece cresce e si alimenta proprio dalle difficoltà delle aziende oneste, sottraendo know-how attraverso l’utilizzo in nero di dipendenti in cassa integrazione e destinando ingenti risorse allo sviluppo e alla pubblicità.
Come uscire da questa situazione?
Si può agire in vari modi. Innanzitutto riducendo ulteriormente il cuneo fiscale, che abbasserebbe il costo del lavoro (aiutando le imprese a essere più competitive sui mercati internazionali), attrarrebbe più investimenti esteri, favorirebbe l’emersione di un’economia basata sull’evasione fiscale e contemporaneamente renderebbe più pesante il netto che va ai lavoratori, favorendo i consumi e la crescita economica. E poi introducendo a livello legislativo elementi di premialità per le aziende oneste e trasparenti in grado di dimostrare la propria eticità e sostenibilità. Si è spesso parlato di forme di protezionismo etico per le aziende che creano valore reale, leale e legale lungo l’intera filiera produttiva.
A suo avviso vi sono settori poco valorizzati e che meriterebbero maggiore attenzione?
Turismo e valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico. L’Italia possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale, oltre il 50% dell’intero patrimonio storico e artistico mondiale (dati Unesco). Il turismo culturale dovrebbe essere il nostro fiore all’occhiello, ma i nostri musei stentano a ripensarsi in una logica di servizio ai visitatori e come straordinaria opportunità di business. La crescita di questo settore potrà fare da volano alle nostre eccellenze artigianali e all’agricoltura di qualità. Da uomo del Sud mi lasci dire che l’altro tema su cui va rivolta l’attenzione è proprio il Mezzogiorno.
Che resta in difficoltà anche ora che il resto del paese ha ripreso a crescere, almeno a livello di Pil…
L’Italia non potrà ripartire senza il Mezzogiorno, con le sue enormi potenzialità da cogliere. Prima di tutto per il grande patrimonio culturale, storico e artistico. Per la bellezza dei luoghi, per il clima mediterraneo e la grande disponibilità di intelligenze che continuano invece a emigrare per trovare la propria realizzazione altrove. Quarant’anni fa, questo dove operiamo non sembrava il luogo ideale in cui fare impresa, dal punto di vista dei servizi e delle infrastrutture. Ma avevamo una grande ricchezza: la bellezza dei luoghi e le persone, il loro carattere forte, il loro talento, la loro generosità e la voglia di riscatto. Oggi la Puglia è definita dal National Geographic la regione più bella del mondo e Matera, che fa parte del nostro distretto manifatturiero, sarà capitale europea della cultura per il 2019.
Vede passi in avanti nel processo di ammodernamento dello Stato?
Non è semplice modernizzare il paese delle divisioni esasperate, delle corporazioni, delle lentezze politiche e burocratiche. In questo scenario di forte resistenza al cambiamento si sta muovendo il governo Renzi, con la sua promessa di fare uscire il paese dalle sabbie mobili del passato. È uno sforzo necessario e non più rimandabile. La questione della modernizzazione della pubblica amministrazione è di fondamentale importanza: un’amministrazione efficiente, un progresso reale nei servizi resi ai cittadini e alle imprese è tale da influire direttamente anche sullo sviluppo economico.
Dunque possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno?
C’è molto da fare, ma va detto che siamo sulla buona strada. Con il Jobs act, per esempio, il governo ha cercato di dare una risposta concreta a un fenomeno devastante come quello della disoccupazione giovanile. L’ho trovato un provvedimento ragionevole che va incontro ai giovani, ma va visto come un’opportunità anche per chi ha già un’occupazione, perché smuove e libera risorse all’interno di un mercato del lavoro finora completamente ingessato.
Si parla molto di industria 4.0 a. Qual è la portata reale e cosa sta facendo Natuzzi in tal senso?
Investire nell’innovazione è un imperativo per recuperare la competitività dell’impresa. E noi lo abbiamo sempre fatto, investendo nei sistemi, nelle innovazioni di prodotto e di processo, innovando l’organizzazione del lavoro e la gestione manageriale. Il processo di cambiamento iniziato più di dieci anni fa è stato fondamentale per affrontare la sfida impostaci dalla globalizzazione e trasformarci da azienda manifatturiera, che operava in ambito b2b, in una consumer brand distribuita attraverso una catena retail: il 71% del nostro fatturato oggi viene realizzato attraverso il canale retail. In Natuzzi l’interconnessione tra fabbriche e mercati, su cui si fonda la cosiddetta industria 4.0, è stata intrapresa diversi anni fa e tutta l’attività di programmazione per ogni mercato di riferimento è totalmente informatizzata.
Vede spazi di collaborazione pubblico-privato in questo campo?
Nel 2015 abbiamo siglato un accordo con il ministero dello Sviluppo economico per un programma di ricerca e sviluppo per l’industria 4.0, in ambito di sviluppo prodotto e organizzazione di processo. L’ultimo traguardo raggiunto pochi mesi fa riguarda la totale automazione del processo di taglio della pelle: dallo scorso settembre nelle nostre fabbriche il posizionamento, e il successivo taglio delle sagome sul manto di pelle, avviene grazie a un software in grado di calcolare miliardi di possibili posizionamenti in brevissimo tempo permettendoci di ottimizzare al meglio questa preziosa materia prima. Ma mi lasci dire che l’innovazione va accompagnata anche da un cambio di mentalità.
In quale direzione?
Tra il 1995 e il 2015 la crescita della produttività del lavoro in Italia è risultata decisamente inferiore alla media Ue (+1,6%) e all’area euro (+1,3%). Dobbiamo rivedere il modello di contrattazione e prevedere contratti aziendali che premino il valore aggiunto: accordi di secondo livello per premiare la produttività. Occorre coraggio da parte di tutti e su questo anche i sindacati possono e devono dare il loro contributo. Perdere competitività nel settore manifatturiero rischierebbe di relegarci ai margini dell’Europa. Ritengo, che le misure messe in campo dal governo con il Piano nazionale industria 4.0 siano un ottimo incentivo all’innovazione.
Il settore nel quale opera è esposto alla concorrenza internazionale sul prezzo: come si riesce a resistere?
Nel mondo il made in Italy conferma il suo forte appeal sui consumatori, anche nel nostro settore. Ovviamente il prezzo ha la sua importanza, ma non è l’unico fattore su cui avviene la scelta di acquisto. C’è da parte dei consumatori molta attenzione alla qualità dei prodotti e alla qualità del servizio. L’Italia, al contrario, è diventato uno dei mercati più competitivi e la partita si gioca tutta sul prezzo. Se nel paese che ha inventato il made in Italy (con l’enorme valore aggiunto che il mondo gli riconosce) il fattore principale di acquisto diventa il prezzo, vuol dire che c’è un problema di potere d’acquisto e che le famiglie sono più preoccupate a gestire il presente, che non a costruirsi il futuro. Per il secondo anno consecutivo la nostra catena Divani&Divani by Natuzzi si è confermata, secondo una ricerca indipendente dell’Istituto tedesco di qualità, quella in grado di offrire la migliore esperienza del servizio di assistenza in Italia nel settore poltrone e divani.
Un risultato frutto di?
Ogni anno dedichiamo alla ricerca stilistica e di nuovi materiali, nonché allo sviluppo di nuovi prodotti, risorse finanziarie e professionalità sempre crescenti; investiamo da anni nell’innovazione progettuale e del processo produttivo al fine di rendere sempre più competitive le nostre fabbriche italiane e difendere l’occupazione nel territorio; investiamo nella sostenibilità della nostra azienda e delle nostre produzioni: abbiamo appena ottenuto la certificazione Fsc (Forest stewardship council) che garantisce ai consumatori che il legname utilizzato proviene da foreste gestite in modo responsabile. Trasferiamo ai consumatori, attraverso la comunicazione nei nostri punti vendita questi valori, ma purtroppo dobbiamo prendere atto che il fattore prezzo su cui, invece, puntano i nostri concorrenti è quello che paga di più. Ma non ci scoraggiamo, sia chiaro. Anzi, a livello internazionale le ricerche continuano a dirci che ci sarà un futuro solo per quelle imprese che si misurano ogni giorno con i temi della sostenibilità, del rispetto della legalità, del ruolo sociale dell’impresa.
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