Business school: le TOP TEN italiane

Brand reputation, contenuti, innovazione, etica, collegamento con l’attività lavorativa e capacità di affrontare il cambiamento. Ecco le scuole di management che si distinguono nel panorama nazionale e sono conosciute a livello internazionale
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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È quanto emerge dall’opinione di un campione di 50 intervistati, selezionati da World Excellence tra i più autorevoli esperti del settore della formazione, dell’imprenditoria, della finanza, delle risorse umane e dell’head hunting. Professionisti interpellati per stilare l’elenco delle 10 realtà italiane più innovative e competitive nel panorama internazionale, tenendo fermi come parametri di giudizio l’accesso all’impiego, l’approccio multiculturale, la qualità della docenza, l’orientamento al problem solving, la flessibilità, l’innovazione, la vicinanza alle imprese, l’internazionalizzazione, le tecnologie applicate all’apprendimento, alla condivisione e al raggiungimento di obiettivi sfidanti.
Secondo Mauro Medasegretario generale di Asfor, le business school non posso prescindere da un aspetto fondamentale: rispondere alle nuove spinte che sono il risultato della globalizzazione dei mercati e dei servizi, e quindi, saper operare in un contesto di sviluppo internazionale. «In quest’ottica», spiega Meda, «risulta strategico saper cogliere i bisogni formativi dei diversi clienti, che sono sempre più dei partner, e offrire delle risposte aderenti. Le business school devono saper offrire, ai giovani laureati ai talent e ai manager percorsi formativi e di apprendimento capaci di sviluppare e rafforzare le proprie competenze, nell’ottica di un processo di rafforzamento continuo del capitale umano. La nuova progettazione, partendo da una base legata alla famiglia professionale di appartenenza, si sviluppa attraverso soft skill, che superano la mera natura comportamentale, generando una nuova cultura anche sui temi considerati strategici: leadership, change management, digital mindset. Dunque la sfida per le scuole di management, ma anche per le corporate learning academy, sarebbe quella di saper cogliere i bisogni di cambiamento nelle organizzazioni (purtroppo spesso ancora latenti e non ben definiti) e delle persone e trasformarli in processi formativi per lo sviluppo di competenze tecnico-manageriali, che devono rispondere a una dinamica evolutiva, ed essere efficaci in tempi più brevi rispetto al passato, e con un sapiente utilizzo delle diverse metodologie didattiche con una reale padronanza dei processi di apprendimento». Appare insomma evidente che i bisogni della formazione manageriale 4.0 si possono così sintetizzare: una giusta attenzione fra i bisogni delle organizzazioni e delle persone; una sapiente gestione delle diverse metodologie formative e dei tempi d’ingaggio; una reale capacità di saper incidere nel mindset che genera il cambiamento delle persone e delle organizzazioni 4.0.
Quali sono dunque le scuole eccellenti in tal senso? Sul digital, non ci sono dubbi tra nessuno degli intervistati:  Mip Politecnico di Milano graduate school of business è quasi un marchio di garanzia. Del resto, la scuola sta investendo parecchio nello smart learning, con un portafoglio di prodotti e attività di formazione per individui e imprese che sfruttano al meglio le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali.
Come infatti afferma Francesco Festa, ceo di Hunting Heads, «quella che fornisce Mip è una preparazione a tutto tondo, con progetti strutturati di percorso dei master, l’apertura mentale, la freschezza e brillantezza di relatori e testimonial e l’attenzione assoluta all’innovazione, in tutti gli aspetti di mercato, prodotto e processo, e la focalizzazione sugli ambiti internazionali relativi a tematiche tecniche, contrattuali e negoziali. A ruota, altrettanto attenta a esporre e dare strumenti di comprensione e metabolizzazione dell’internazionalizzazione e molto concentrata sull’affinamento delle managerial skill, Sda Bocconi school of management, con particolare e deciso approfondimento sulle aree economiche e finanziarie, sui processi amministrativi e gestionali, ma aprendo anche a temi poco “bocconiani classici”, quali stabilimenti produttivi, supply chain, tecnologie e innovazione. Comunque sia Mip sia Sda sono business school di assoluta eccellenza, entrambe attente formatrici di manager con competenze sempre più trasversali per gestire l’interculturalità, il digital, il cambiamento e l’innovazione “permanente”. Altrettanto brillanti e, a mio personale parere, staccate dal gran numero di altri concorrenti presenti in questo settore, Iulm e Luiss business school. Diverse le specializzazioni, diverse le modalità progettuali e i temi chiave dei relativi master, ma analoga l’eccellenza nel punto chiave che contraddistingue la vera ed efficace business school: il corpo accademico di relatori e i testimonial, in entrambe molto ben integrato al percorso dei master. Iulm è certamente più orientata all’approfondimento e alle esercitazioni teoriche e pratiche sugli argomenti chiave della comunicazione, sia nell’area specialistica sua executive, mentre Luiss è più orientata ai chiaroscuri e ai dibattiti sia sugli argomenti classici quali Hr, marketing, finance, sia soprattutto sui temi più innovativi che caratterizzano questa school, quali tourism management, art, fashion, musica, cinema, television e anche i settori affascinanti dei big data management e le sostenibili. Infine, voglio citare la scuola di Palo Alto, una business school certamente non accademica, ma che mi sta molto a cuore e che ho imparato ad apprezzare in questi anni, sia per l’efficacia e la concretezza, sia per la brillantezza dei progetti formativi, concentrati in particolar modo sul tema della positive education, e  che negli ultimi tempi si stanno focalizzando su un tema specifico e molto sentito: la sicurezza. La scuola di Palo Alto ha certamente dalla sua, nonostante il taglio più piccolo rispetto alle altre school che ho citato, un entusiasmo e una passione davvero contagiosa».
Cuoa business school di Altavilla Vicentina, che lo scorso novembre ha spento le sue prime 60 candeline, eccelle invece per un modello formativo flessibile, adattabile alle specifiche esigenze di aziende e persone. Del resto, come spiega Federico Visentin, presidente di Cuoa, la business school con la più lunga per tradizione in Italia, negli anni ha interpretato e adeguato i suoi modelli didattici alla luce dei contesti mutevoli, sviluppando e proponendo soluzioni attente a dare risposte concrete. «La forza di una scuola di management come il Cuoa è la capacità di osservare il contesto, ma anche di ascoltare le persone. Il nostro approccio volto all’ascolto, ha trovato vasta applicazione sia nei confronti delle imprese, che vedono in noi un punto di riferimento per studiare percorsi di sviluppo delle competenze, sia nei confronti  delle persone, che sempre più apprezzano la nostra offerta di consulenza personalizzata sul proprio percorso di carriera, sui punti di forza e sulle aree di miglioramento. Nel 2018 continueremo a dare questo servizio e a lavorare sulle nostre aree di competenza distintive. Oltre ai classici percorsi formativi, che vanno dagli Mba e master, part time e full time, e alla vasta offerta di corsi executive, lavoreremo su tematiche attuali anche a livello di sensibilizzazione e informazione, tra tutte il rapporto banca-impresa e l’evoluzione delle professioni e delle funzioni aziendali in ottica digital e continueremo nel nostro impegno al fianco degli imprenditori».
Anche lo Ied (Istituto europeo di design) nel comparto svolge un ruolo da leone. Come infatti afferma Gloria Gaiotto, direttrice di Ecs Consulting, una realtà nel mondo della formazione professionale, che si occupa specificamente della preparazione del personale addetto al contatto con il cliente e alla vendita al pubblico del settore luxury, il taglio di Ied è congeniale per quanto riguarda soprattutto il graphic design e il fashion design. «Vengono proposti anche corsi di marketing e comunicazione, la formazione offerta è certamente di buon livello», spiega.
È chiaro comunque che la digitalizzazione è e continuerà a essere una leva dalla quale non si potrà più prescindere per una formazione efficace. Del resto il futuro è nelle mani dei  millennial che interagiscono con straordinaria familiarità con i vari dispositivi It e i canali social, crescendo in un mondo globalizzato, ricco di stimoli e soprattutto debancarizzato. Ecco perché le business school devono andare avanti su questa direzione.
Ne è pienamente convinto anche Antonello Sanna, amministratore delegato di Scm, la prima Sim di consulenza finanziaria quotata a piazza Affari, che lo scorso settembre ha avviato un nuovo progetto di inserimento dei giovani futuri consulenti finanziari in azienda. Una scelta nuova, questa, in un contesto di mercato che vede la maggior parte degli operatori italiani di private banking concentrati su professionisti che hanno già dalla loro una rete consolidata di clienti e contatti. «O ti distingui o ti estingui», spiega Sanna. «Differenziarci rispetto agli altri è un tratto che ci caratterizza da sempre e ci spinge costantemente  a esplorare territori non ancora battuti. Da settembre abbiamo avviato il progetto The young talent hub, che consiste nell’inserimento di giovani talenti provenienti dalle migliori università e business school italiane, al fine di farli diventare dei professionisti riconosciuti sul mercato. Contiamo di selezionarne 30 all’anno per il prossimo triennio. In un mercato ormai fortemente digitalizzato non possiamo limitarci a cercare solo professionisti con grande esperienza, ma è fondamentale integrare nuove forze. Nei primi colloqui ho percepito un’energia, una voglia di lavorare e una preparazione superiore alle mie attese. Il percorso durerà all’incirca 5 anni, al termine del quale i giovani consulenti finanziari saranno dei professionisti di esperienza e riconosciuti dal mercato, in grado di non fermarsi solo sull’analisi delle esigenze finanziarie, ma capaci di ascoltare i bisogni dei clienti offrendo un reale valore aggiunto che è quello che fa la differenza. Quello che pertanto dal mio punto di vista posso affermare è che, senza ombra di dubbio, le business school italiane hanno un alto valore formativo. Sda Bocconi è a mio avviso una delle migliori nella formazione post universitaria per l’apertura mentale e, soprattutto, gli aspetti internazionali relativi a tematiche tecniche, prime fra tutte quelle della finanza, del controlling, dell’amministrazione e della gestione. Anche 24 Ore business school è molto forte sull’aggiornamento dei programmi, soprattutto per quanto riguarda il target dei professionisti, essendosi peraltro concentrata sulla personalizzazione della formazione, anche con master corporate commissionati da aziende per i dipendenti, o per la formazione di nuove risorse e sviluppo. Ottimi  i riscontri anche per Luiss, per la vicinanza alle imprese e in particolare al mondo confindustriale, e Altis – Università Cattolica di Milano, in modo particolare per l’attenzione che pone alla responsabilità sociale e ambientale delle imprese, ma anche per la diffusione a livello internazionale dell’esperienza dei distretti industriali. Nondimeno, il Mib Trieste school of management, da quasi trent’anni un centro internazionale di alta formazione manageriale, nato su iniziativa di grandi realtà aziendali e del mondo accademico, è una realtà particolarmente attrattiva, soprattutto sul tema del risk management, anche perché sviluppa Mba, master specialistici in lingua inglese, corporate master e programmi executive certificati in Italia e all’estero, con una faculty composta da accademici, consulenti e uomini d’impresa».
Dunque, in definitiva, dove deve dirigersi la formazione manageriale per essere vincente? «In un contesto economico e sociale in continuo movimento e trasformazione come quello attuale», conclude Meda, «la formazione manageriale, dalla grande impresa fino all’azienda di matrice familiare e alle startup, deve ambire a essere centrale nella fase di sviluppo di una nuova cultura manageriale, sempre più diffusa e capace di agire anticipando i processi di cambiamento e innovazione».
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