I nuovi uffici nell'era dello smart working

Orari flessibili, scrivanie in condivisione, stanze silenziose per una maggiore concentrazione. E tanta tecnologia. Ecco come cambia il luogo di lavoro.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Negli anni Cinquanta, la Germania lanciò l’idea di uno spazio di lavoro libero da pareti divisorie, poi adottata in diverse parti del mondo, ma che nel tempo ha rivelato lati negativi (il Workplace Survey 2016 dello studio di architettura e design Gensler ha rilevato che il 67% della forza lavoro del Regno Unito, dove oltre otto milioni di impiegati lavorano in ambienti open space, si sente esausta alla fine di ogni giornata lavorativa a causa del proprio ambiente d’ufficio).
Nel 1964, Robert Propst, amministratore delegato di Herman Miller, creò il cubicolo per ovviare alla mancanza di privacy, di flessibilità e autonomia individuale, una soluzione che col boom del personal computer si è affermò con maggior forza. Nel 2015 il Washington Post l’ha definista un’impostazione opprimente, studi recenti dicono cha fa aumentare i giorni di malattia dei lavoratori, riduce la loro produttività e benessere. Non a caso, l’ufficio di ultima generazione combina sale insonorizzate per potersi concentrare sul lavoro singolarmente, uffici privati, nuovi e più confortevoli tipi di cubicoli e aree comuni.
Lo studio Engagement e global workplace, condotto da Steelcase e da Iposos, prova che alla soddisfazione dei dipendenti sul posto di lavoro risponde maggior impegno, e che i luoghi progettati con una forte attenzione all’uniformità non aiutano né persone, né aziende o organizzazioni cui oggi sono richiesti processi innovativi, agilità, resilienza e creatività.
«Le nuove idee vengono dalla rottura di regole e modelli», afferma Bruce Smith, direttore del design globale di Steelcase, «molti ambienti di lavoro sono stati progettati per supportare un processo obsoleto che non dà priorità alla collaborazione creativa dei dipendenti. Spazi statici oggi diventano sale multimediali, per consentire l’interazione con chi lavora da remoto, o vengono completamente reinventati». Secondo lo studio The evolution of work di Adp reserch institute, i driver di questa trasformazione sono una richiesta di maggior scelta e flessibilità; l’accesso al real time learning; la crescita dell’autonomia; il senso di stabilità e la possibilità di lavorare su progetti personalmente significativi. In pratica l’ufficio inteso come incentivo. Luoghi dove i dipendenti portano con sé i loro dispositivi e hanno accesso a schermi digitali che aiutano nella condivisione delle informazioni, con pareti e arredi in tessuti fonoassorbenti che permettano privacy quando è necessaria, spazi conference intelligenti e la creazione di zone che promuovano la collaborazione senza essere esageratamente aperte.
Un approccio che Cheryl Durst, ceo della International Interior Design Association, ha definito migliorativo e che cambierà anche la comunicazione da messaggi ed e-mail offrendo più interazioni interpersonali. Mikko-Pekka Hanski, co-fondatore della società di design Idean, pensa che vedremo metodi sempre più coinvolgenti di collaborazione remota, anche attraverso la realtà virtuale. Ken Raisbeck, executive director e capo advisory services Emea presso Cbre, azienda leader di servizi per l’immobiliare commerciale a livello globale con un fatturato 2016 di 13,1 miliardi di dollari e oltre 75mile dipendenti, conferma che gli uffici tenderanno a offrire sempre maggior comfort e possibilità di concentrarsi sul proprio lavoro, anche utilizzando sofisticati sistemi d’illuminazione e climatizzazione o ricorrendo all’ergonomia per adattare i mobili a esigenze di fisicità e stili del singolo dipendente. C’è chi ipotizza una stampa tridimensionale in grado di creare sedute ergonomiche taylor made.
Uffici, lavoro e dipendenti smart, una perfect combo destinata a crescere. L’utilizzo sempre più facile di computer, tablet e smartphone, ovunque e in qualsiasi momento, ha spostato il valore del lavoro dalla quantità di ore passate in ufficio a ciò che si riesce a fare. Crescono gli home e smart worker, dipendenti, collaboratori e partite Iva che scelgono, o credono di scegliere, le proprie modalità di lavoro in termini di luogo, tempo e strumenti utilizzati, raggiungibili 24 ore su 24 da e in ogni parte del mondo, con qualsiasi strumento, in qualsiasi luogo e orario. Un esercito di oltre 96 milioni di persone che si prevede supereranno i 105 milioni entro il 2020, afferma Andrea Solimene, ceo e co-fondatore di Seedble. Nel nostro Paese si stima siano attivi 305mila smart worker (oltre il 50% nel Nord), in crescita a due cifre, mediamente presenti in azienda per il 67% del tempo lavorativo, contro l’86% degli altri.
Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano su un campione di imprese italiane e straniere, la maggior parte dei millennial utilizzano lo smart working, e più della metà della fascia dai 45 ai 60 anni lo fa regolarmente. Pare inoltre, che l’adozione di un modello maturo di smart working possa far aumentare di circa il 15% la produttività per singolo lavoratore, traducendosi in 13,7 miliardi di euro di benefici a livello di sistema Paese e che un giorno a settimana di remote working potrebbe far risparmiare in media 40 ore l’anno di spostamenti, traducibili in 135 kg di CO2 in meno l’anno.
In Italia come in altri paesi, il fenomeno interessa soprattutto le grandi imprese del settore privato e dovrebbe crescere nella pubblica amministrazione grazie alla riforma Madia della Pa che in tre anni conta di coinvolgere il 10% dei dipendenti di ogni organizzazione. Attualmente però solo il 5% di quelle considerate dalla ricerca ha progetti strutturati. Nel privato, oltre la metà delle grandi imprese stanno lanciando iniziative simili, ma solo nel 26% di quelle che hanno progetti strutturati, lo smart working coinvolge un’alta percentuale di lavoratori. Per le Pmi è una novità giudicata positiva al fine di migliorare la produttività e la qualità del lavoro, ma una buona parte la considera poco applicabile nel proprio ambito e spesso incontra il disinteresse del management.
Al World Economic Forum  2017, Viktor Weber, direttore del Future Real Estate Institute, ha predetto una possiblie scomparsa di circa il 50% dei posti di lavoro entro il 2055, legata all’automazione, una sicura svolta nell’ambiente di lavoro e nei requisiti delle attività immobiliari, un calo di spazi per uffici, una crescita di quelli collegati e persino un esodo dalle città verso ambienti meno costosi e più rurali. Dal Forum è emerso che l’immobiliare è sempre più l’ambito di vita del mondo industrializzato: nordamericani e britannici trascorrono oltre l’80% del tempo in case ed edifici, le percentuali dei paesi industrializzati sono simili e in quelli in via di sviluppo stanno crescendo. Ambienti sempre più tecnologici, con dispositivi come Amazon Echo Dot, elettrodomestici collegati, sensori e tecnologie di sorveglianza che contribuiscono a creare luoghi favorevoli ai processi di adattamento e, se combinati a info specifiche sul consumo, il sonno e altri dati sensibili, in futuro potrebbero servire alla formulazione di nuovi modelli di business.
Come mostra la ricerca di Polycom, The changing word of work,  non tutte le culture stanno approcciando il cambiamento allo stesso modo: i brasiliani sono in pole position con l’80% dei dipendenti che svolgono il lavoro da remoto, di contro, in Giappone, solo il 35% delle aziende offre politiche di smart working. La presenza prevale a tal punto che nel 2014 il governo si è attivato per arginare il «karoshi» (morte per superlavoro). Considerando però che siamo solo agli inizi di una rivoluzione il cui fattore chiave è la tecnologia e che i suoi sviluppi sembrano inarrestabili, è probabile che le previsioni non del tutto rosee di Weber siano più che credibili.
Sempre secondo la ricerca di Polycom, nelle grandi organizzazioni e imprese sono ormai realtà i servizi di instant messaging, webconference e convergenza fisso-mobile, gli strumenti di condivisione e archiviazione di documenti lo sono per l’87% dei casi e nelle Pmi per il 34%, quelli di collaborazione in tempo reale per il 76% nelle grandi e il 32% nelle piccole imprese. Meno diffusi, forum, blog e social network interni. A seconda della dimensione aziendale sono implementati mobile device, mobile business app e enterprise application store, mentre notebook, smartphone e tablet sono già in quasi tutte le grandi aziende. Le mobile business app più diffuse riguardano la personal productivity e la business productivity o sono a supporto della vendita. Tra i servizi di accessibilità e sicurezza i più comuni sono la Vpn, l’impostazione di password e codici di sblocco, un po’ meno i sistemi di protezione sui dispositivi mobili come la crittografia in logica sandbox o quelli di blocco a distanza attraverso il remote wipe. Sono in crescita le workspace technology per agevolare il lavoro in mobilità, come lo smart printing, già disponibile nel 38% delle grandi aziende, e i badge multifunzione per vari servizi che oltre il 40% delle aziende del campione avrà nel corso di quest’anno.
I big dell’informatica e la finanza, i più attivi e coinvolti. Informatica e finanza sono i settori più aperti all’home working e allo smart working sia part time sia full time, ma per lo più si tratta sempre di grandi aziende. Tra queste, realtà come Amazon, Xerox, Dell, Ibm, Salesforce, Sap, Appen, Aon, Adobe, McKesson Corporation, Motorola, Citizens Bank, Lenovo, Nielsen e altri.
Il progetto Io lavoro smart di Philips Italia interessa 300 dipendenti e ha riflessi positivi sulla sua produttività, Intesa Sanpaolo permette ai suoi impiegati di lavorare da casa qualche giorno al mese. Con l’applicazione della strategia BlueWork, creata nel 2005, America Express ha coinvolto in un approccio olistico risorse umane e It partendo dall’immobiliare. Uffici disseminati in ogni parte del mondo con una grande varietà di spazi per lo più multiuso, i più recenti progettati per supportare il lavoro basato sull’attività (Abw), il telelavoro, il lavoro tradizionale da scrivania e quello mobile. Nella sede di Singapore i dipendenti domestici sono meno del 5%, ma non in altri paesi, in Australia arrivano al 30%. Dipendenti da remoto cui è fornito un supporto per l’impostazione della tecnologia, incluse videocamere web per videoconferenze, che per non sentirsi esclusi possono frequentare la sede principale e disporre delle comunità BlueEn, create da American Express per promuovere la loro interazione coi membri dello staff. Un anelito di rinnovamento che rivela anche qualche ripensamento. Ibm, che produce strumenti per il lavoro da remoto e ha attuato un programma dedicato per migliaia di dipendenti Usa, lo scorso anno li ha invitati a trasferirsi negli uffici strategici o a lasciare l’azienda. Parrebbe, per migliorare la collaborazione e velocizzare i ritmi di lavoro. In Italia non manca chi si distingue, tra i vincitori dello Smart Working Award 2017: Axa Italia col progetto Smart working, smart life; Costa Crociere con Sm@rt working Costa – Moving forward!; Generali Italia con New ways of working, e Benetton che ha avuto una menzione speciale per il progetto Stretch your time. Parallelamente uffici e headquarter si adeguano rinnovandosi o reinventandosi, in Italia si distingue Milano, dove l’onda del cambiamento si è affiancata a quella di uno sviluppo immobiliare che ha sconvolto lo skyline urbano. Tra i protagonisti informatici di questa rivoluzione, Microsoft con la Microsoft house nell’Innovation District di via Pasubio, nuova sede di Microsoft Italia e spazio tecnologico, Facebook con la sede italiana di piazza Missori inaugurata nel 2014, Apple col futuro Apple Store di piazza Liberty, ispirato a quello di New York e firmato da Norman Foster, in apertura nell’estate 2018. Poi Samsung, il colosso coreano che ha acquistato palazzo Diamantino nel business district di Porta Nuova, sede del Samsung District e attuale quartier generale italiano. Nel campo dell’e-commerce, Amazon con i suoi nuovi uffici direzionali di via Monte Grappa, nell’edificio restaurato della sede storica di Maire Tecnimont, gli uffici in via San Marco di ePrice, leader italiano dell’e-commerce, e il gigante mondiale Alibaba col suo headquarter sud-europeo in un attico di corso Europa. Nel campo delle assicurazioni, UnipolSai entro il 2018 occuperà col suo centro direzionale i 96 metri del Nido Verticale in zona Porta Nuova, prima torre in Italia certificata Leed New Costruction. City Life è il regno di due big: Allianz, che sta traslocando nel grattacielo Isozaki ormai diventato Torre Allianz e Generali che sta per farlo nello Storto, quello adiacente di Zaha Hadid adesso Torre Generali.
Generali e Allianz Italia, smart working, spazi adeguati e headquarter futuristici. Dopo il successo di rispettivi progetti pilota, Allianz Italia e Generali si sono aperte allo smart working, una scelta che segna passi crucali verso il futuro e si riflette sui loro nuovi uffici e super headquarter di City Life a Milano.
«Lo smart working richiede smart workspace e Generali, attraverso un suo programma di design e sviluppo, ha definito il concept che sarà utilizzato in tutto il gruppo, sia per la realizzazione di nuovi spazi come la Torre Hadid, sia nella trasformazione di spazi già esistenti», spiegano dall’headquarter del Leone. «Il concept, illustrato nei due volumi della Smart workspaces Guidebook, si basa sulla necessità di supportare una maggior mobilità delle persone, quindi una crescente necessità di spazi flessibili che consentano momenti di self-concentration e di effective-collaboration, quindi che aiutino a comunicare e co-creare tra colleghi e da ovunque.
Per rispondere a questo, facility e tecnologia si devono integrare ed evolvere negli smart workspace che saranno adottati nella Torre Hadid e disegnati per rispondere alle necessità del team in termini di standard workstation, con docking station universali, spazi collaborativi, meeting room, archivi etc».
Il passaggio a nuovi luoghi di lavoro è spesso legato a una riduzione del personale dovuta agli sviluppi tecnologici. È così anche per Generali? Nel caso di Tower Hadid e in linea di «massima per Generali», risponde la compagnia, «lo sviluppo tecnologico e il trasferimento in ambienti di lavoro all’avanguardia non è collegato né direttamente né indirettamente a riduzioni di personale. Fermo restando che la sede della capogruppo rimane a Trieste, porteremo in Torre più di 2mila persone che lavorano nelle società milanesi del Gruppo. Le persone che cambieranno sede manterranno le attuali attività e collocazioni organizzative, con la differenza che ruoli, responsabilità e attività verranno svolti in smart workspace in termini di layout, concept di utilizzo e tecnologia. Arredi e dotazioni tecnologiche faciliteranno un nuovo modo di lavorare, in cui lo spazio è utilizzato in relazione alle attività svolte: meno lavoro alla scrivania e più in spazi collaborativi, ambienti informali e agili».
Tempo fa, il presidente Gabriele Galateri disse che con la realtà di CityLife il gruppo intendeva proteggere le persone creando un ambiente migliore intorno a loro. Questo significa un ritorno al lavoro in sede, con modalità diverse e in regime di smart working? «In Generali lo smart working è in fase di sperimentazione avanzata sulla piazza di Milano da quasi due anni, per cui rimane una delle priorità in termini di innovazione Hr per il gruppo. La nuova sede milanese integra e completa il disegno di smart working, offrendo uno smart workspace che spinge e supporta un cambio di mentalità verso il lavoro location-free, dove l’enfasi è sulla produttività e sui risultati.
La Torre Hadid è un ambiente bello e confortevole situato nella zona più iconica di Milano, ricca di verde e servizi, perfettamente collegata alla città e ai suoi dintorni. Gli uffici, ampi e luminosi, godono di spazi comuni variegati, dalle sale riunioni all’auditorium, dalla caffetteria alle aree per le attività di engagement dei dipendenti».
Da Allianz Italia, Letizia Barbi, responsabile sviluppo e gestione risorse e amministrazione, illustra quali sono le logiche di smart working che prevalgono nella Torre Allianz. «Il progetto smart working recentemente avviato in Allianz Italia non è stato concepito solo per la sede di Milano, ma anche per i dipendenti delle sedi del gruppo di Trieste, Roma e Torino. Dopo una prima esperienza con un progetto pilota sul lavoro agile, ci siamo resi conto che per cambiare davvero modalità di lavoro e favorire l’equilibrio tra vita lavorativa e privata, occorreva fare una scelta organizzativa importante. Oggi i nostri 400 smart worker, che presto saliranno a 600, lavorano al 50% in modalità agile. Ogni giorno molti colleghi fanno lunghi viaggi per raggiungere il luogo di lavoro e altri, pur abitando più vicino, hanno situazioni familiari particolari, a questo abbiamo voluto rispondere con una modalità efficace nel facilitare l’iterazione tra vita privata e lavorativa».
L’obiettivo principale, continua Barbi, è «quello di fornire alle persone una modalità lavorativa agile che aiuti a calibrare meglio l’equilibrio tra contesto lavorativo e vita privata. Il nostro progetto prevede che ogni dipendente, che volontariamente ha richiesto di aderire, abbia un collega con cui gestire in modo alternato le giornate di smart working. La coppia di colleghi, che generalmente appartengono alla stessa area organizzativa, può decidere con flessibilità le giornate da dedicare a questa modalità e in futuro si potrà anche andare verso una logica di scrivania condivisa».
È giusto dire che la combinazione di dispositivi fissi e mobili in un’unica soluzione di continuità, oltre a permettere ai dipendenti e collaboratori di lavorare ovunque si trovino, influiscano positivamente sulla produttività dell’azienda? «È troppo presto per poter dare un giudizio sulla produttività, ma immaginiamo di sì, perché è la stessa modalità del lavoro agile che lo genera. L’ufficio diventa una delle molteplici opportunità dello spazio di lavoro in cui le persone possono agire sulla loro produttività. Da questo punto divista, in Allianz Italia siamo facilitati perché da diversi anni i nostri dipendenti sono abituati a lavorare per obiettivi, seguendo la strategia del gruppo orientata alla centralità del cliente, la digitalizzazione, l’eccellenza tecnica, la crescita e la meritocrazia inclusiva. Inoltre, dai primi feed-back che abbiamo ricevuto dagli smart worker, si registra una maggiore possibilità di concentrazione sulle attività da svolgere che si combina con una migliore qualità del lavoro».
Lo smart-working sta modificando i modelli manageriali? «In generale, i nuovi modelli di business che chiedono maggiore flessibilità, capacità di lavorare in team e per obiettivi, si combinano bene con la sua logica. Sicuramente, è necessario un nuovo atteggiamento dei manager nella gestione del proprio team di lavoro, passando dalla presenza fisica del collaboratore a una presenza diversa che comprende l’utilizzo della tecnologia digitale».
Come si traduce tutto questo dal punto di vista architettonico e tecnologico? «Si lavora in modo diverso: oggi le riunioni sono sempre più spesso gestite con conference call, video conference o via Skype, utilizzando le Lim, lavagne interattive multimediali in open space. Per questi motivi le sedi di Milano, Trieste, Roma, Torino sono state ridisegnate in una logica di digital workplace, ovvero di efficienza tecnologica, operativa ed energetica, con spazi all’avanguardia studiati per favorire al massimo il lavoro in team e la social collaboration. In questo senso, la nuova Torre Allianz di Milano e i nuovi uffici della sede di Trieste sono simbolo iconico di innovazione e di eccellenza».
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