L’attesa riforma fiscale darà slancio agli utili delle imprese americane. E favorirà il mercato dell’equity, con i titoli tecnologici in pole position
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]La riforma sanitaria è morta, lunga vita alla riforma fiscale». Le parole sono di Stephen Mitchell, head of strategy global equities di Jupiter Asset Management, a commento dei primi cento giorni di presidenza di Donald Trump. Se è vero che le prime settimane del mandato hanno stimolato i rendimenti dell’azionario globale, il meno convenzionale tra tutti i presidenti Usa deve ora rimboccarsi le maniche e mettere mano ad alcune riforme, soprattutto quelle delle tasse e della regolamentazione, promesse in campagna elettorale per mantenere lo slancio positivo. Il rialzo dei mercati azionari globali a seguito dell’elezione di Donald Trump è stato, infatti, generato dalle aspettative, finora in gran parte non concretizzate, che la sua presidenza avrebbe dato inizio a un’epoca di bassa tassazione, deregolamentazione del mercato e investimenti nelle infrastrutture. Generando così una crescita degli Stati Uniti, con un effetto a catena positivo sull’economia mondiale.
È opinione di molti strategist che certamente la sua elezione abbia aiutato a cambiare orientamento degli investitori americani, contribuendo al cosiddetto Trump Bump, ma per quanto riguarda l’economia globale il 45° presidente degli Stati Uniti ha anche avuto la sua buona parte di fortuna. «Trump si è avvantaggiato di ben due situazioni favorevoli nei primi giorni della sua presidenza», spiega Mitchell «È stato eletto quando i mercati mondiali iniziavano a sentire gli effetti benefici del nuovo pacchetto di stimoli messo in campo dalle autorità cinesi all’inizio del 2016, per vivacizzare un’economia rallentata da un impulso anticorruzione. E poi, anche la ripresa del prezzo del petrolio è stata una manna per l’America: dopo essersi aggirato intorno ai 30 dollari al barile nella prima metà del 2016, il petrolio è ora saldo intorno ai 50 dollari, un livello a cui un buon numero di società di shale gas riesce a far girare i propri impianti di estrazione in modo produttivo, con l’effetto di una ripresa nella produzione industriale».
Gli astri finora si sono allineati a favore di Trump. Ma a far decollare i mercati Usa ha contribuito, almeno fino a oggi, anche un reale supporto verso le sue politiche da parte della comunità imprenditoriale, che si è tradotta in una maggiore fiducia per le prospettive dell’economia da parte delle piccole imprese e anche da parte dei consumatori.
La creazione di nuovi posti di lavoro e le nuove assunzioni sono in crescita, e la disoccupazione è scesa al 4,5% a marzo 2017 rispetto al 4,8% di ottobre 2016, il mese precedente la sua elezione. Trump, da uomo d’affari quale è, ha anche corteggiato le grandi corporation del Paese, istituendo un Business advisory council, ovvero una piattaforma che consentirà a 17 dirigenti di società del calibro di Pepsico, JP Morgan e Boeing, di influenzare ed elaborare politiche business-friendly. «Sapere che questi titani dell’industria godono dell’attenzione del presidente e che stanno offrendo una guida è rassicurante. Inoltre sembra davvero che il presidente vi presti ascolto», dice Mitchell.
Riforma fiscale. Al momento, l’effetto del Trump Bump sembra essersi affievolito, dato che i tre pilastri su cui si è fondato il rally del mercato azionario sembrano sempre più instabili, e alcuni si chiedono se ci sia un gap tra le aspettative e la reale capacità del nuovo presidente di tenere fede alle promesse fatte. Soprattutto dopo il fallimento della riforma sanitaria, in molti si chiedono quale sia la sua reale capacità di implementare altre misure e dopo il Trump Bump si comincia a parlare di Trump Slump, ovvero crollo di Trump. «Crediamo che questo pessimismo circa le capacità di concretizzazione di Trump potrebbe rivelarsi eccessivo», spiega Mitchell. «Dal nostro punto di vista, Trump avrà buoni margini per portare a termine la riforma delle tasse, potrebbe fare significativi passi avanti nell’area della regolamentazione, anche se probabilmente deluderà le aspettative sulle infrastrutture».
Ma quali sono i pilastri della riforma fiscale di Trump? Considerando che gli stati Uniti hanno una corporate tax relativamente alta, pari al 35%, molte aziende americane scelgono di non riportare in patria i profitti ottenuti con attività oltre oceano. Si stima che le 500 più grandi aziende americane posseggano tra i 2,1 e i 2,5 trilioni di dollari in liquidità all’estero per evitare quella che considerano una tassazione punitiva. Il rimpatrio dei fondi con una «tax holiday», che assegna alle aziende una precisa finestra temporale entro la quale i profitti maturati all’estero vengono tassati solo al 10%, potrebbe vedere il rientro negli Stati Uniti di molti capitali che possono essere utilizzati per investimenti o operazioni di m&a.
«Dal nostro punto di vista, potrebbe essere uno scenario possibile, la cui implementazione non richiederebbe tagli alla spesa in altri settori per modificare la legge, e sarebbe quindi un approccio win-win per le politiche America First di Trump», spiega Mitchell. Altre riforme del sistema di tassazione, incluso il taglio della corporate tax al 20%, sembrano essere invece più problematiche, poiché dovrebbe essere finanziato da tagli di bilancio difficili da attuare considerando che gli Stati Uniti hanno già un debito di 19 trilioni di dollari e che i partiti in questa fase sono inclini a frenare l’alto livello di indebitamento, piuttosto che aumentarlo.
World Excellence ha chiesto a Frédéric Dodard, responsabile Emea dell’investment solution group di State Street Global Advisors, a Didier Saint-Georges, managing director e membro del comitato investimenti di Carmignac, e a Giordano Beani, cio di Amundi Sgr, quali sono le loro previsioni sul tema della riforma fiscale americana e quali sono in questa fase di attesa le più opportune scelte di investimento sul mercato americano. Il risultato? In gran parte è legato al fattore tempo: se la riforma passasse entro la fine dell’anno, la riduzione delle imposte sulle società farebbe aumentare in modo sostanziale gli utili del mercato azionario, con una concreta possibilità di assistere a una fase di risk-on sui mercati e conseguenti sovraperformance per le azioni e perdite sul mercato obbligazionario. Al contrario un accordo tardivo, e soprattutto deludente su alcuni tagli fiscali deprimerebbe i mercati azionari, ma potrebbe rassicurare quelli obbligazionari sui rischi legati all’inflazione e al rafforzamento monetario.
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