Dall’inarrestabile riduzione degli sportelli all’entrata in scena di nuovi operatori. La disruption tecnologica sta trasformando il mondo del credito. Come e chi ne uscirà vincitore? Se n’è parlato al Banking Summit, organizzato a Stresa da The Innovation Group.
Il mondo bancario è meno a rischio dell’anno scorso e gli Npl calano vistosamente, permettendo al settore di vedere la luce in fondo al tunnel. Ma le aziende di credito non possono rilassarsi. All’orizzonte ci sono, infatti, le sfide che derivano dalla digitalizzazione sempre più spinta e dalle normative europee entrate recentemente in vigore (Psd2 e Gdpr). Sullo sfondo, la concorrenza sempre più pressante delle fintech e il rischio (che sembra inevitabile) di uno sbarco in forze delle bigtech nell’intero settore finance.
Della disruption tecnologica si è par- lato al Banking Summit, classica due giorni d’autunno organizzata da The Innovation Group all’Hotel et des Iles Borromées di Stresa. «Il mondo bancario è uno dei settori più in trasformazione», ha ricordato Ezio Viola, ceo di The Innovation Group, in apertura del convegno. «Occorre dunque comprendere se e come la trasformazione digitale del settore stia portando a un’evoluzione o a una mutazione del modello di business. Anche in relazione all’entrata in scena di nuovi operatori». La banca che verrà sarà, quindi, del tutto differente da come avremmo potuto immaginarla pochi anni fa, anche grazie allo spartiacque della Psd2. E proporrà nuovi modelli. Per esempio, la «banca-piattaforma, aperta non solo a servizi bancari, ma anche ad altri settori». Il binario sembra tracciato, anche se non è facile comprendere che cosa accadrà nel dettaglio. Una cosa è certa, ha puntualizzato Viola: «Le ricette del passato non valgono più».
Meno sportelli, meno investimenti. Una delle ricette del passato è sicuramente il monopolio degli sportelli tradizionali. Ora, in filiale ci vanno molti meno clienti. E il fenomeno non potrà che acuirsi, dato che, nell’ultimo anno, neppure il 10% dei giovanissimi ha messo piede in una succursale. La banca virtuale è, dunque, ormai una commodity. «Gli sportelli», ha ricordato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, «sono scesi sotto il nume- ro di inizio anni Duemila e si sono ridotti di circa il 20% rispetto al massimo del 2008. Non solo: nei prossimi anni ci si attende un ulteriore calo. Prometeia, a questo proposito, stima 3.200 chiusure nel triennio 2018-20, corrispondente a un -12%». Una situazione che sembrerebbe suggerire un investimento forte in Ict, per venire incontro alle necessità di una clientela sempre più digitale. E invece no. Come ha sottolineato Giovanni Razzoli, equity analyst di Equita Sim, la tecnologia non è stata risparmiata dal taglio dei costi intrapreso dalle banche in questo ultimo decennio. Gli investimenti in tecnologia «sono calati del 15%», ha precisato Razzoli. «Certo, in altri ambiti, come nel real estate, si è tagliato ben di più», ha proseguito. «Ma comunque questo calo è forte».
Il fortino assediato. Mentre le banche tagliano, nuovi concorrenti avanzano. E mettono in discussione il modello organizzativo degli istituti di credito. Innescando quella che Corrado Passera, presidente esecutivo di Spaxs e ceo di Illimity, ha chiamato la «quarta crisi» del mondo bancario. In questi dieci anni, ha sostenuto l’ex amministratore delegato di Poste italiane e Intesa, i gruppi di credito non hanno sperimentato un lungo e profondo periodo di criticità, ma quattro crisi distinte. «La prima è esplosa nel 2008-2009, a causa dagli asset tossici, la seconda ha riguardato gli asset creditizi, la terza è stata una somma di 12 differenti crisi aziendali. E ora stiamo vivendo la quarta». Che caratteristiche ha? «Mette in discussione il modello delle banche», dice Passera. Con una conseguenza: i modelli tradizionali non reggono più, messi alle strette «dall’ingresso in campo delle fintech, e soprattutto delle bigtech, e dalle politiche monetarie, che hanno schiacciato i margini».
La quarta crisi, secondo Passera, lascerà vittime sul terreno. «Ci sarà una serie di vincitori, ma ci saranno anche istituti di credito che, per dimensione e genericità, non ce la faranno. Chi non reagirà, perderà. Nuovi player faranno irruzione. È improbabile che Amazon non si metta a fare operazioni di credito, o che Google non si prenda una parte del business dei pagamenti». Ma non è solo una questione di società tecnologiche. Perché, secondo Passera, «nasceranno banche specializzate, e lo faranno in maniera inedita, sfruttando al meglio le tecnologie disponibili e le flessibilità informatiche. Negli ultimi 20 anni siamo stati vincolati alla rigidità dei sistemi It: nelle banche normali, cambiare è lungo e costoso. Oggi, in quelle nuove, si possono mettere insieme sistemi informativi in maniera modulare: se uno non piace, lo si cambia. Questo dà flessibilità, velocità di reazione e un risparmio inimmaginabile».
Phygital. Intanto, le nuove banche e le fintech sono già in pista. E portano già a casa successi. Ma il mondo bancario non è fermo. Non è un caso che alcuni gruppi creditizi tradizionali decidano di allearsi alle fintech (e qualche volta a comprarle) per compiere determinati processi o fornire servizi. Oppure, che scelgano di formare essi stessi nuove società, iperdigitali o comunque innovative. Nel corso del Banking summit ne sono state presentate sette: un campione molto eterogeneo, che è solo un piccolo esempio dei molti modelli di servizio che si stanno sviluppando. E che diventeranno la normalità in breve tempo. A cominciare da Intesa Sanpaolo, che nel 2016 ha acquistato Banca Itb (comunemente chiamata la «banca dei tabaccai») e le ha dato il nuovo nome di Banca 5, sviluppandone il modello multicanale ibrido, a metà strada fra il fisico e il digitale. «Il nostro modello», spiega l’amministratore delegato Silvio Fraternali, «si basa su cinque prodotti: carte prepagate, conti di pagamento, prestiti, assicurazioni e altri servizi». Alcune di queste offerte vengono rese disponibili presso i 20mila tabaccai convenzionati, per rendere possibile un’operazione “fisica” ai clienti che le filiali non servono più, altre possono essere effettuate solo via app o web. Per esempio, spiega Fraternali, «vendiamo carte presso i tabaccai, ma non assicurazioni. Un tabaccaio non è un agente, né un esperto assicurativo». I punti fisici, quindi, sono abilitati solo ad alcuni servizi, come la verifica dell’identità dopo l’apertura di un conto e opera- zioni come pagamenti e, ultimi arri- vati, i prelievi fi no a 150 euro.
La nicchia della nicchia. Da In- tesa Sanpaolo a Unicredit, da una realtà basata sulla convergenza tra fisico e digitale a un’altra basata su una nicchia. Anzi: una «nicchia della nicchia». Si tratta di Buddybank, fondata da Angelo D’Alessandro, che fornisce servizi bancari solo via app, e unicamente via iPhone. «In partenza, l’idea aveva suscitato non pochi dubbi», ha spiegato lo stesso D’Alessandro: «Perché solo su mobile? E perché soltanto per iPhone? Oggi, a otto mesi dalla fondazione di Buddybank, abbiamo raddoppiato il target stabilito per il primo anno». La partnership con Apple «ci ha aiutato a segmentare, e a offrire assistenza via messaggi senza passare tramite la nostra applicazione». E gran parte dei clienti Buddybank non aveva rapporti bancari con la capogruppo. Il dialogo tra banca e cliente è centrale nella strategia della digital bank powered by Unicredit, che si definisce conversational bank (rende infatti disponibile una community fra i clienti) e off re «una concierge 24 ore su 24, sette giorni su sette, via messaging». E i servizi? Partita da una carta di debito e dal conto corrente a canone zero disponibile via app, la banca digitale fondata da D’Alessandro ha in mente di allargarsi. «La prima cosa che attiveremo nel 2019 saranno prestiti personali e trading con Etf». Anche qui, la tecnologia svolgerà un ruolo molto importante: gli in- vestimenti saranno basati «su robo-advisor e punteranno alla semplicità», perché il target principale sarà costituito da «clienti non esperti di risparmio gestito».
La community dirige l’orchestra. Diversa la storia di mBank, istituto di credito polacco il cui pacchetto di maggioranza è attualmente controllato da Commerzbank: fondata nel 2000 come segmento di internet banking di Bank Rozwoju Eksportu, ha rebrandizzato il gruppo. Ora, quindi, il marchio mBank indica tanto il virtuale, quanto il fisico: per questo motivo, ha avviato un nuovo network di succursali, e un’accelerazione del segmento mobile. Nel primo caso, la banca polacca ha puntato su due tipi di strutture: i centri di consulenza, presso edifici di altre aziende, e le filiali “leggere” all’interno dei centri commerciali, dotate di touch screen interattivi e video a muro che presentano le off erte della banca. «Se i clienti non vengono da noi, siamo noi a muoverci da loro», ha ricordato Krzysztof Pałuszyński, vicedirettore dipartimento canali digitali di mBank. «Andare dai clienti», significa anche rafforzare i servizi per smartphone: nell’aprile 2017, ha sottolineato il top manager, «abbiamo lanciato: una nuova app che mostra le spese del cliente e dà possibilità di connettersi direttamente al call centre». Anche per accedere al corporate è possibile utilizzare una app. Quali sono i risultati di questa operazione? «Che nel luglio 2017, la percentuale dei clienti che si sono autenticati via app ha superato quella che si è loggata con i computer, raggiungendo il 55% contro il 28% del 2016; nel giugno del 2018 ha ancora guadagnato terreno, portandosi al 59%. Sui canali mobile, ora abbiamo 1,4 milioni di clienti».
La banca-fintech. Completamente online è, invece, Fidor Bank, fondata a Monaco nel 2009, che opera ora anche in Gran Bretagna. L’istituto si autodefinisce «banca-fintech», e punta a proporre alla clientela un approccio basato sulla collaboration: come accade per mBank, i clienti sono coinvolti nel processo decisionale dell’istituto; i canali social sono il principale mezzo per interagire con la banca. Fidor ha lavorato per mettere in atto i modelli di open banking e di bank as a service, ponendosi come hub fra il settore del credito e quello delle fintech. E creando ecosistemi desti-nati a diventare i protagonisti nell’era delle Psd2. Per questo ha stretto vari accordi sia con istituti finanziari, sia con altre società, soprattutto nel mondo internet. Tra le partnership c’è quella con Telefonica, che ha lanciato propri servizi bancari (02 Banking) utilizzando l’infrastruttura cloud based (e la licenza bancaria) di Fidor. Tra le funzionalità offerte, gli «interessi bancari in megabyte»: come ha spiegato il membro del board ecco Gé Drossaert, «più i clienti utilizzano 02, più dati Lte ricevono». Questi possono poi essere «utilizzati oppure convertiti in regali in un marketplace specializzato (per esempio, voucher Amazon)».
In filiale? sì, ma in digital. Un misto fra online e un off line fortemente digitalizzato rappresenta invece l’e-sperienza di Emirates National Bank of Dubai (Nbd). Varie le soluzioni introdotte, e illustrate a Stresa da Reema Zaveri, head of multichannel banking design & strategy. Come, per esempio, la digitalizzazione degli assegni: su ogni cheque viene stampato un Qr code, che registra l’assegno nella piattaforma blockchain della banca; una volta che viene ricevuto, gli operatori hanno la possibilità di verificarne l’autenticità e avere accesso al registro ogni volta che vogliono. Anche l’esperienza in filiale viene digitalizzata: il cliente che intende recarsi in agenzia può prenotarsi già su smartphone, ottenendo il numerino saltacoda in modalità virtuale; una volta in agenzia, le transazioni vengono completate virtualmente, con l’assistenza di operatori. La parola d’ordine di Emirates Nbd è, comunque, mobile first: via telefonino viene reso possibile praticamente tutto, dall’apertura di un conto corrente alla verifica del cliente mediante dati biometrici, fino alle normali operazioni di banca. La banca di Dubai ha anche aperto lo scorso settembre al cosiddetto Whatsapp banking: mediante la app di messaggistica, Emirates Nbd rende infatti possibili varie attività, come il controllo del saldo nel conto corrente o il blocco/sblocco della carta di pagamento smarrita.
Versamenti e transazioni? si fanno in chat. Nel mondo occidentale, la banca in chat potrebbe rappresentare un’innovazione clamorosa. Mentre in Cina è già da tempo una realtà. Lo ha ricordato Andrea Ghizzoni, diretto-re per l’Europa di Tencent Wechat: «A differenza di quanto è accaduto da noi, il consumatore cinese ha scoperto internet con lo smartphone in mano», ha spiegato. «E quindi la messaggistica è molto diff usa». Wechat è quindi diventato un conte-nitore dove c’è dentro tutto. Anche la finanza, anche le assicurazioni: «Tutte le banche cinesi sono accettate nel wallet di Wechat», una cosa impensabile in Europa (anche e soprattutto per motivi regolamentari). «Tutto quello che noi facciamo utilizzando varie app», ha aggiunto Ghizzoni, «i cinesi lo fanno su Wechat». Che «accompagna gli operatori nell’intero processo di acquisto e vendita. E gestisce circa 200mila transazioni al secondo utilizzando una piattaforma di messaggistica e un dataset di Api». Sulla app, dunque, vengono sviluppate applicazioni di ogni tipo, anche finanziarie, per consentire agli utenti di effettuare operazioni senza lasciare la chat. «È un fenomeno cinese, è vero», ha concluso il manager. «Ma nel mondo occidentale potrebbe rivelar-si interessante sviluppare questo approccio. Per lavorare con la Cina. Ma anche per raggiungere i turisti cinesi in Europa, o quelli (molti) che vi risiedono». Normative permettendo.
A cura di Alberto Mazza