L’ultimo rapporto della Consob sull’educazione finanziaria parla chiaro: “Le rilevazioni per il 2016 confermano che le competenze degli italiani in materia di investimenti finanziari rimangono limitate, sia per i profili attinenti alle conoscenze, sia per gli aspetti relativi ad attitudini e modelli decisionali. Oltre un terzo degli intervistati, ha difficoltà a valutare la rischiosità delle opzioni di investimento più note”. L’Italia insomma non è messa bene in fatto di conoscenze in materia finanziaria ed è quanto viene spesso sottolineato dai confronti internazionali. Prendiamo per esempio l’indagine Standard & Poor’s ‘Global Finlit Survey’ effettuata nel 2014 su 140 Paesi, citata al convegno “La ricchezza della nazione, educazione finanziaria e tutela del risparmio” dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella quale l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei, con solo il 37% tra gli adulti che risponde correttamente ad almeno 3 delle 5 domande su concetti di base (interesse semplice e composto, inflazione, diversificazione del rischio). Dati confermati anche dal più recente sondaggio effettuato dalle Autorità di vigilanza (Banca d’Italia, Consob, Covip e Ivass) in collaborazione con il Museo del Risparmio, Fondazione per l’educazione finanziaria ed al risparmio e Fondazione Rosselli nel quale si ribadisce che solo un italiano su tre conosce il significato di almeno tre di questi concetti base. Il rapporto naturalmente va oltre documentando la frammentazione dei progetti di acculturamento, sinora messi in atto, molti dei quali «con un numero di partecipanti modesto» e «solo pochi» con «un significativo impegno economico». E sottolineando, tra le maggiori criticità, la mancanza di coordinamento tra le iniziative prese negli anni passati, «l’assenza di un quadro nazionale che definisca in modo unitario fabbisogni formativi, priorità e criteri di intervento», e «la carenza di valutazioni sulla capacità delle iniziative di incrementare e incidere sui comportamenti». Una presa di coscienza alla quale oggi, il Governo italiano, spinto anche dall’Europa nei cui programmi rientra l’accrescimento della cultura finanziaria nei vari Paesi dell’Unione, dagli avvenimenti che hanno coinvolto le banche venete e il Montepaschi (in seguito all’entrata in vigore delle nuove regole europee sulla risoluzione e gestione delle crisi bancarie) e dalla Mifid 2 che imporrà agli intermediari finanziari una maggiore trasparenza e nuove regole per la product governance, ha voluto porre rimedio con l’istituzione del Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria. Senza entrare nel merito della questione, né pronunciarsi su un lavoro, peraltro meritevole, che è appena all’inizio, occorre in questa sede porsi alcune domande. Innanzitutto perché si è arrivati a un punto così elevato di ignoranza finanziaria. E la risposta non può che venire dalla storia. Si sa che l’Italia è sempre stato un Paese elitario e conservatore, chiuso nel proprio recinto, con una scarsissima propensione ad aprirsi all’esterno e a valorizzare capacità e meriti. Un Paese nel quale gli equilibri economico-politici che si sono susseguiti negli anni, hanno nei fatti portato alla formazione di un sistema bancocentrico poco propenso a sviluppare realmente un mercato finanziario, a diffondere la conoscenza e comunicare con trasparenza e chiarezza. Le varie iniziative di educazione finanziaria prese nel tempo, come è stato sottolineato anche dalla Banca d’Italia, sono state numerose ma frammentate, poco coordinate, economicamente povere e non si sa quanto efficaci. E qui, aggiungiamo noi, molte di esse sono state prese più sulla base di interessi promozionali che su quella di una reale missione culturale che ponesse il cliente al centro dell’attenzione. Una missione di cui anche Visco, nella sua relazione alla giornata mondiale del risparmio, ne ha sottolineato l’assoluta importanza. “L’educazione finanziaria”, ha detto il Governatore, “non è solo una risposta alla crisi, ma è un requisito indispensabile a fronte dei cambiamenti nell’offerta di strumenti di investimento. Competenze finanziarie di base sono essenziali non solo per difendersi dai rischi di comportamenti scorretti o fraudolenti, ma anche per effettuare scelte coerenti con i propri bisogni e le proprie condizioni economiche”.