Parla Paolo Guerrieri: Banche, così si è risolta la crisi

Ecco quali sono state le soluzioni scelte per le due popolari venete, per Mps e per gli altri istituti di credito, e le differenze con le misure utilizzate dagli altri Paesi
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Con il senatore Paolo Guerrieri, membro della commissione bilancio del Senato, ordinario di Economia internazionale alla Sapienza di Roma e docente al Collegio Europeo di Bruges, la conversazione sulla «liquidazione ordinata» delle banche venete rappresenta l’occasione per fare chiarezza sulle specificità tecniche della soluzione adottata, e anche sui punti più controversi, come quello del costo per i contribuenti. Ma è anche un’opportunità per fare il punto sulla situazione del nostro sistema e sul futuro dell’Unione europea.

Professor Guerrieri, partiamo dall’ultima crisi in ordine di tempo, quella delle due banche venete. Si può essere soddisfatti della soluzione trovata?
Tutto è bene quel che finisce bene, è stato il commento prevalente alla liquidazione di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Io sono d’accordo, viste le alternative rimaste in campo. Soprattutto ha evitato le pesanti ripercussioni che un processo di mera risoluzione e la conseguente piena applicazione del bail-in avrebbero avuto sul territorio del Nordest e sull’intera economia italiana. La soluzione trovata ha consentito di conciliare gli interessi generali di stabilità finanziaria con quelli particolari legati all’operatività delle banche da liquidare, garantendo allo stesso tempo la continuità di relazioni con oltre 2 milioni di famiglie e imprese del territorio veneto.
Ma non vi sono anche criticità e rischi da cui guardarsi?
Sì, certamente. Sono dell’opinione che vanno introdotti una serie di caveat con riferimento all’intera operazione. Va detto, innanzi tutto, che la crisi si è rivelata assai più grave di quanto inizialmente stimato e, quindi, ha prodotto una serie di costi che si sarebbero potuti evitare. In aggiunta, la trattativa si è protratta troppo a lungo. Per molti aspetti i vari passaggi del negoziato si sono rivelati assai tortuosi e tormentati, sollevando molti dubbi e perplessità. Basti ricordare che nel giro di pochi mesi le due banche venete sono state dichiarate dalle diverse autorità di regolazione interessate, prima solventi e poi insolventi; e ancora, si è ritenuto, potessero dare origine a effetti sistemici ai fini della stabilità finanziaria complessiva per poi arrivare a declassarle al rango di semplici banche locali. In definitiva, una serie di risvolti che lascia intendere quanto travagliato sia stato cercare e trovare alla fine una soluzione ai problemi posti sul tavolo. Va, infine, sottolineato che dietro alla soluzione positiva della liquidazione delle due popolari venete restano le fragilità del sistema bancario italiano. Un passo avanti importante è stato fatto, ma il nostro sistema non può essere considerato ancora al sicuro. Redditività bassa, elevati costi fissi, un’alta incidenza dei crediti inesigibili sono i tre fattori che più lo rendono vulnerabile e che richiedono un piano di interventi che vada al di là del breve periodo.
Entrando nelle specifiche tecniche della soluzione individuata quali altre considerazioni si possono fare?
È noto che la soluzione a cui le nostre autorità avevano più lavorato negli ultimi mesi era la ricapitalizzazione precauzionale, secondo il modello che era stato adottato qualche mese prima per il Monte dei Paschi di Siena. Una soluzione esplicitamente prevista dalla nuova direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie e che avrebbe consentito un’applicazione più soft, per così dire, della formula del bail-in. Il deciso no del regolatore europeo, per ragioni ancora tutte da chiarire, è stato espresso attraverso la richiesta di uno sforzo aggiuntivo di ricapitalizzazione delle due banche venete a carico dei privati e ha spianato la strada alla soluzione della liquidazione amministrativa, sfruttando una clausola della legge italiana. È stata una soluzione all’insegna del pragmatismo che ha consentito di evitare il ricorso alla procedura europea di risoluzione, resa impercorribile non solo dai timori di un’applicazione a tutto campo del bail-in, ma anche dal pericolo di vedere scattare le garanzie pubbliche rilasciate dallo Stato sui circa 9 miliardi di senior bond emessi dalle due banche.
Quindi, una soluzione originale e con ricadute di segno positivo?
Attraverso la liquidazione, le perdite delle due banche venete saranno circoscritte ai creditori del burden sharing, attraverso l’azzeramento di azionisti e detentori dei subordinati, con previsto rimborso di quelli retailer. Col sostegno di fondi pubblici si è altresì realizzato lo scorporo e la cessione a Intesa Sanpaolo, per la cifra simbolica di 1 euro, delle attività e passività in bonis delle due banche e alla liquidazione amministrativa coatta delle molte partite residue. Alcuni hanno fatto il confronto con quanto avvenuto in Spagna solo qualche tempo prima, allorché Santander ha rilevato l’intero Banco Popular, facendosi carico di tutte le poste a rischio, escluse le passività meno garantite che sono state azzerate, e impegnandosi a realizzare a copertura un aumento di capitale di ben 7 miliardi. A questo riguardo c’è una osservazione molto semplice da fare, ovvero che oggi in Italia non è possibile una tale soluzione interna, di mercato come si dice, e sulla carta meno dolorosa. E questo perché nel nostro Paese non esisteva e non esiste una grande banca che possa farsi carico di un’altra in crisi, come avvenuto in Spagna e come peraltro avvenuto anche da noi nelle crisi degli anni Settanta e Ottanta o in quelle dei primi anni Novanta, che hanno portato, com’è noto, alla scomparsa della maggior parte delle banche meridionali, prima fra tutte il Banco di Napoli.
Una domanda ricorrente su questa operazione è stata il costo per i contribuenti italiani. Qual è la sua valutazione su questo aspetto così delicato?
È molto difficile fare delle stime affidabili al riguardo, per le tante variabili e incognite di cui tener conto. Va precisato innanzi tutto che l’esborso immediato pagato dallo Stato per garantire l’ordinato funzionamento del mercato della raccolta e degli impieghi bancari nel Veneto sarà poco più di 5 miliardi, che è pari al finanziamento richiesto da Intesa per accollarsi i cespiti delle due banche venete e non scendere sotto gli attuali livelli patrimoniali. A fronte di questo esborso, lo Stato acquisisce 5 miliardi di crediti deteriorati, che erano stati già svalutati a circa un terzo del loro valore. Sarà certo necessario del tempo per mettere a frutto tali crediti, ma alla fine i costi sostenuti dal bilancio pubblico potrebbero drasticamente ridursi. Poi ci sono da considerare le garanzie rilasciate dallo Stato, valutabili complessivamente fino a un massimo di altri 12 miliardi, sui prestiti che dopo essere stati valutati da Intesa potranno essere retrocessi al Tesoro. Intesa Sanpaolo, che aveva perso circa un miliardo e mezzo nel fondo Atlante, ha fatto gli interessi dei suoi azionisti e ha chiesto di conseguenza ampie garanzie. C’è chi ha sommato a questo punto l’esborso effettivo con il valore di queste garanzie arrivando a parlare di 17 miliardi complessivi. Penso che sia una somma del tutto sbagliata, dal momento che si tratta di poste contabili completamente diverse, le prime essendo delle voci di bilancio, mentre le seconde sono i conti, come si dice, sotto la linea. Ma non solo…
Cioè?
Le svalutazioni effettuate dalle banche venete nei mesi scorsi per dare forza al progetto di una loro fusione, poi non accettata dalle autorità europee, inducono a ritenere che il rischio di perdite per i contribuenti sia limitato. Si potrebbe stimare il costo finale netto complessivo dell’operazione in una fascia che va da 3-4 miliardi fino alla possibilità di uscirne in pareggio. È utile, comunque, considerare che in tema di aiuti pubblici al sistema bancario, erogati nei vari Paesi europei a partire dallo scoppio della grande crisi, l’Italia figura ancora all’ultimo posto. Se all’intervento di almeno 5 miliardi sulle banche venete si sommano gli oltre 5 miliardi spesi per salvare il Monte dei Paschi, (a fronte dei quali lo Stato possiede azioni della banca e quindi potrebbe recuperare l’esborso nel momento della vendita delle stesse azioni) le risorse pubbliche finora stanziate in Italia rappresentano somme davvero molto contenute. Basti pensare ai 140 miliardi di euro che la Germania, per esempio, ha speso in tutti questi anni per stabilizzare le sue banche.
Ci potranno essere delle ripercussioni di questa vicenda anche in termini di impatto sulle attuali regole europee?
Si è trattato di una soluzione ragionevole e anche la Commissione europea e le altre autorità di regolamentazione alla fine hanno pienamente avallato la decisione del governo italiano. Ma tutto ciò, hanno sostenuto alcuni, potrebbe significare un prezzo elevato, che è quello di indebolire la credibilità sostanziale, sia delle regole europee in materia bancaria, sia dello stesso processo europeo di risoluzione delle banche in crisi. Non sono d’accordo su questa valutazione, perché la soluzione adottata rispetta pienamente la normativa europea, sia per ciò che attiene la direttiva sulla risoluzione delle banche in crisi (Brrd), sia per quanto riguarda le linee guida emanate nel 2013 dalla Commissione sugli aiuti di Stato alle banche. Detto questo, va riconosciuto che la procedura europea, oltre a essere complicata dall’operare congiunto di autorità e istituzioni che si collocano a più livelli, nazionale e sovranazionale, ha creato forti problemi ogni volta che si è trattato di applicare i meccanismi di coinvolgimento dei creditori diversi dai depositanti, in particolare quelli senior. E non è un dettaglio. Non va, in effetti, dimenticato che il bail-in è stato concepito come il meccanismo fondamentale che doveva eliminare o relegare a rara eccezione l’utilizzo di risorse pubbliche nella ristrutturazione delle banche in fallimento.
E quindi?
Il principio che ispira il bail-in è di per sé da condividere. Ma la sua applicazione ha certamente creato molti problemi. Perché retroattiva, ha chiamato a partecipare alle perdite anche titoli che erano stati emessi in epoca in cui tale principio non sussisteva. Con l’aggravante per il nostro Paese che titoli di questo genere sono stati in passato emessi e collocati in dosi massicce presso risparmiatori privati, che allora ignoravano o avevano solo una vaga consapevolezza dei rischi effettivi. Tutto ciò ha finito per trasformare ogni crisi bancaria in un intricato e difficile insieme di nodi da sciogliere, in cui la tutela degli interessi generali di stabilità finanziaria andava contemperata con la tutela degli interessi più specifici dei risparmiatori. Da qui è nata la necessità nel caso italiano di trovare ai tre casi di grave crisi che si sono finora presentati (le quattro medie banche nel novembre 2015, Mps e le due venete) soluzioni ogni volta diverse. Va riconosciuto che il quadro normativo e di vigilanza europeo nella fase della risoluzione si è rivelato alla prova dei fatti difficile da applicare. E si pone di conseguenza la necessità di una sua correzione unitamente a una riforma delle attuali regole. Soprattutto per ciò che attiene alle tipologie del bail-in e al ruolo in esso assegnato all’intervento pubblico. Tutto ciò assume particolare importanza in vista della revisione della normativa bancaria europea che, com’è noto, è prevista nel 2018.
La soluzione adottata per le banche venete può costituire un ulteriore intralcio al completamento dell’Unione bancaria europea?
È noto che il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, unitamente ad altri osservatori, ha giudicato molto negativamente la vicenda delle due banche venete, ritenendo che il suo epilogo abbia ulteriormente incrinato il rapporto di fiducia tra i Paesi membri e reso oltremodo difficile, a questo punto, il completamento dell’Unione bancaria. Non sono d’accordo e non credo che quanto avvenuto con la liquidazione delle banche venete abbia modificato in negativo le prospettive di completamento dell’Unione bancaria. Erano e restano molto incerte e difficili.
In conclusione, proviamo a fare chiarezza su questo aspetto così vitale per l’Ue… 
Non vi è dubbio che sul piano del processo di integrazione economica europea serva completare l’Unione bancaria da associare all’Unione monetaria, dal momento che quest’ultima non sarebbe in grado di sopravvivere poggiando sulla sola gamba della moneta e della politica monetaria. Il completamento dell’Unione bancaria significa oggi il rafforzamento del Fondo di Risoluzione Comune e l’istituzione di un meccanismo comune europeo di assicurazione dei depositi.  Le proposte presentate finora non sono riuscite a vincere le resistenze dei paesi creditori, in testa la Germania, che propongono la riduzione dell’esposizione delle banche dei singoli paesi verso i rispettivi titoli sovrani prima di ogni passo ulteriore verso l’Unione bancaria. È come dire che la condivisione dei rischi debba essere preceduta dalla riduzione dei rischi stessi, una richiesta non solo tecnica ma anche politica. Ma è altrettanto evidente che in assenza di adeguati meccanismi di condivisione dei rischi bancari, che solo il completamento dell’Unione bancaria sarebbe in grado di assicurare, non si potrà arrivare ad attenuare quel perverso legame tra rischio sovrano e rischio bancario che è stato il vero motore della crisi dell’euro fin dalla sua iniziale esplosione; rischiando così di lasciare oggi indifesa la stessa zona euro di fronte all’esplosione di future tempeste finanziarie. Credo che per arrivare all’Unione servirebbe realizzare un compromesso tra il gruppo di Paesi, tra cui la Germania, che puntano su politiche di riduzione dei rischi formulate autonomamente dai singoli Paesi, e il gruppo, tra cui figura il nostro Paese, che vede con favore l’introduzione di meccanismi di condivisione dei rischi. Nelle condizioni attuali esso appare oltremodo difficile, se non impossibile. È la gravità dei problemi da affrontare, tuttavia, a richiedere risposte più efficaci e ambiziose.
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